Ricercatori a tempo determinato alla Corte di Giustizia UE

Ricercatori a tempo determinato alla Corte di Giustizia UE

di Federica Brio -
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Con l'ordinanza n. 240 del 10 gennaio 2020 il Consiglio di Stato ha rimesso aalla Corte di giustizia U.E. varie questioni concernenti la compatibilità con la normativa comunitaria della disciplina nazionale relativa ai contratti dei ricercatori universitari a tempo determinato.

Con l'ordinanza in esame, vengono rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se la normativa comunitaria (in particolare, la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato) osta a una normativa nazionale (nella specie l’art. 24, comma 3, lett. a) e l’art. 22, comma 9, l. n. 240 del 2010), che consente alle Università l’utilizzo, senza limiti quantitativi, di contratti da ricercatore a tempo determinato con durata triennale e prorogabili per due anni, senza subordinarne la stipulazione e la proroga ad alcuna ragione oggettiva connessa ad esigenze temporanee o eccezionali dell’Ateneo che li dispone e che prevede, quale unico limite al ricorso di molteplici rapporti a tempo determinato con la stessa persona, solo la durata non superiore a dodici anni, anche non continuativi;

  • se la disciplina europea osta ad una normativa nazionale, quale l’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75 del 2017 (come interpretato dalla circolare ministeriale n. 3 del 2017), che, nel mentre riconosce la possibilità di stabilizzare i ricercatori a tempo determinato degli Enti pubblici di ricerca — ma solo se abbiano maturato almeno tre anni di servizio entro il 31 dicembre 2017 —, non la consente a favore dei ricercatori universitari a tempo determinato solo perché l’art. 22, comma 16, d.lgs. n. 75 del 2017 ne ha ricondotto il rapporto di lavoro, pur fondato per legge su un contratto di lavoro subordinato, al “regime di diritto pubblico”, nonostante l’art. 22, comma 9, l. n. 240 del 2010 sottoponga i ricercatori degli Enti di ricerca e delle Università alla stessa regola di durata massima che possono avere i rapporti a tempo determinato intrattenuti, sotto forma di contratti di cui al successivo art. 24 o di assegni di ricerca di cui allo stesso art. 22, con le Università e con gli Enti di ricerca;

  • se la normativa comunitaria osta a che una normativa nazionale (l’art. 29, commi 2, lett. d e 4, d.lgs. 81 del 2015 e l’art. 36, commi 2 e 5, d.lgs. n. 165 del 2001) precluda ai ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per altri due (ai sensi del citato art. 24, comma 3, lett. a, l. n. 240 del 2010), la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, non sussistendo altre misure all’interno dell’ordinamento italiano idonee a prevenire ed a sanzionare gli abusi nell’uso d’una successione di rapporti a termine da parte delle Università.