LIMITI DELL'ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
L’accesso civico generalizzato non può essere riconosciuto per controllare l'attività dei privati o i rapporti tra essi intercorrenti, né si può estendere a documenti o informazioni che non sono detenuti dalla pubblica amministrazione oppure sono detenuti da amministrazioni diverse da quella interrogata.
Infatti, trattandosi di un interesse diffuso, il diritto di accesso civico generalizzato è riconosciuto senza limiti di legittimazione attiva; tuttavia, deve essere funzionale allo scopo stabilito dalla legge, cioè al controllo generalizzato sul buon andamento della pubblica amministrazione e al corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
Con sentenza n. 4122 del 28 marzo 2019 il TAR Lazio ha fornito chiarimenti in merito alla reale portata del diritto di accesso civico generalizzato come disciplinato dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013, distinguendolo dall'accesso agli atti di cui alla l. n. 241/1990. Il primo ha infatti lo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. Per la natura pubblicistica sua propria, è un diritto funzionale a un interesse pubblico, ravvisabile, appunto, nel controllo generalizzato e diffuso sull'attività delle pubbliche amministrazioni. Il diritto di accesso agli atti di cui alla l. n. 241/1990, invece, è posto a tutela di interessi privati e presuppone una posizione soggettiva differenziata.
Il caso di specie riguardava la richiesta di accesso avanzata da un giornalista al Garante per la Protezione dei dati personali e avente ad oggetto la presa di visione della documentazione relativa ad un contenzioso civile instaurato presso il Tribunale di Roma e nell'ambito del quale l'Autorità Garante era stata coinvolta nel 2001.
APPALTI: ESCLUSO L'ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
I documenti di gara e di esecuzione non possono costituire oggetto di accesso civico generalizzato ai sensi dell'art. 5, co. 2, d.lgs. n. 33/2013.
Si tratta, infatti, di documenti afferenti alla procedura di affidamento ed esecuzione di incarico professionale che, in quanto tali, sono soggetti alla disciplina di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). La norma citata prevede che, salvo quanto espressamente previsto dallo stesso Codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990. Deve considerarsi pacifico che l'accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari condizioni e limiti. Invero, l'art. 53 citato detta espressamente una disciplina sull'accesso in parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole: il mancato richiamo delle norme relative all'accesso civico generalizzato deve interpretarsi quale volontà del legislatore di escluderne l'applicabilità (Tar Lombardia - Milano, Sez. I, Sentenza n. 630 del 25 marzo 2019: il caso di specie attiene la richiesta di accesso ai preventivi di spesa per l'affidamento di servizi di assistenza legale per il recupero di crediti da elusione tributaria disposto in favore di una cooperativa; cfr. Tar Emilia Romagna - Parma, Sez. I, Sent. n. 197 del 18 luglio 2018).
Dello stesso avviso è il Tar Toscana, sez. III, che con sentenza n. 577 del 17 aprile 2019 ha ribadito che nei rapporti tra accesso ai documenti ordinario e accesso civico nel settore degli appalti, per quanto riguarda dati, informazioni e documenti inerenti la fase esecutiva, successiva all’aggiudicazione del contratto di appalto, caratterizzata da rapporti paritari, l’interesse dell'ex partecipante alla gara può configurarsi solo nel rispetto delle condizioni e dei limiti dell’accesso ordinario. E' escluso quindi l’accesso civico esercitato dal concorrente relativamente agli atti della fase di esecuzione del contratto, mentre è consentito con riguardo agli atti e documenti della fase pubblicistica del procedimento, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
APPALTI: OSCURAMENTO EQUIPARABILE AL DINIEGO
Un'impresa ha, in linea di principio, il diritto di accesso a tutti gli atti ex l. n. 241/1990 che incidono in modo diretto e immediato sul suo interesse all'aggiudicazione. L'ostensione di una documentazione oscurata e prodotta solo per stralci è equiparabile a un diniego sostanziale della richiesta di accesso e si pone in violazione diretta dell'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2331/2019, ha ritenuto illegittimo il diniego della stazione appaltante dell'accesso ad atti e documenti dell'aggiudicatario di un lotto, motivato incomprensibilmente dall'esistenza di un interesse dello stesso soggetto di tutelare la sua posizione in relazione agli altri lotti.
APPALTI: TUTELA DEL SEGRETO INDUSTRIALE E COMMERCIALE NEGLI ATTI DI GARA
Ai sensi dell'art. 53, co. 5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016 è escluso l'accesso agli atti che, nell'ambito dell'offerta o della sua giustificazione, rivelino informazioni in ordine a segreti tecnici o commerciali dell'offerente, purché vi sia una motivata e comprovata dichiarazione di quest'ultimo. Ciò che è sottratto all'accesso non è dunque l'offerta nel suo complesso, ma la sola parte che contiene informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali.
Pertanto, nel caso in cui la dichiarazione dell'offerente in ordine alla segretezza sia apodittica, generica e non motivata, è illegittimo il diniego di accesso agli atti in quanto tale esclusione presuppone la puntuale dimostrazione che gli atti richiesti siano coperti da segreto, in riferimento a precisi dati tecnici (Tar Lombardia - Milano, Sez. I, Sent. 16 maggio 2019, n. 1121).
CONCORSO PUBBLICO: ACCESSO ATTI SI’, ACCESSO CIVICO NO
In materia di pubblici concorsi, la giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso di ritenere che le domande ed i documenti prodotti dai candidati, i verbali, le schede di valutazione e gli stessi elaborati di un concorso pubblico costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza a tutela dei terzi. I concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno infatti acconsentito a misurarsi in una competizione in cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza della valutazione. Tali atti, quindi, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera personale dei partecipanti, i quali peraltro non assumono neppure la veste di controinteressati in senso tecnico nel giudizio proposto ex art. 25 della l. n. 241 del 1990 (T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, Sent. n. 2770 del 26/04/2018).
Non è in contrasto l’orientamento del Garante per la protezione dei dati personali, espresso in un più risalente provvedimento (parere n. 246 del 24/05/2017) in relazione a una richiesta di accesso civico. Secondo l’Autorità, nel caso di richieste di accesso civico alla copia degli elaborati scritti relativi a prove concorsuali, l'ostensione dei predetti documenti è suscettibile di determinare, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui possono essere utilizzati da terzi, un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali ai sensi dell'art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013. Quanto all´eventuale possibilità di accordare un accesso civico parziale (art. 5-bis, comma 4, del d. lgs. n. 33/2013), fornendo la copia degli elaborati priva dell'associazione ai dati personali identificativi dei candidati, non si può escludere completamente la possibilità di re-indentificare a posteriori il soggetto interessato tramite la conoscenza o la comparazione della relativa grafia.
Si ribadisce che la posizione del Garante non si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, essendosi quest’ultima pronunciata in relazione a un'istanza di accesso agli atti di cui alla l. n. 241/1990. Tale ultimo istituto ha infatti portata ben più penetrante rispetto a quello dell'accesso civico (semplice o generalizzato), in virtù della finalità di tutela di un interesse diretto, concreto e attuale di un soggetto. Solo in quest'ultimo caso infatti la tutela della riservatezza di terzi cede il passo alla tutela di un altrui qualificato interesse, come avviene ad esempio proprio in relazione a una richiesta di accesso agli atti effettuata dal candidato idoneo, non vincitore, utilmente collocatosi in graduatoria.
ACCESSO DATI PERSONALI: RAPPORTO DI LAVORO E ART. 15 GDPR
In base all’art. 15 del Regolamento UE n. 2016/679 (cd. GDPR), a differenza della previgente disciplina nazionale, è riconosciuta la legittimità della richiesta dell'interessato a ricevere "copia dei documenti contenenti i propri dati personali" (par. 3), nell'ambito dell'esercizio del diritto di accesso, indipendentemente dal fatto che siano già conosciuti o sia o meno difficoltosa l'estrazione dei dati richiesti, salvo che ciò non leda i diritti e le libertà altrui.
In particolare, la documentazione relativa alle vicende del rapporto di lavoro, imposta dalla legge (come per i libri paga e matricola) o prevista dall'organizzazione aziendale (tramite circolari interne), dà luogo alla formazione di documenti che formano oggetto di diritto di accesso di cui al citato regolamento europeo, consistendo in dati personali.
Il diritto di accesso di cui all'art. 15 GDPR non può intendersi in senso restrittivo come il mero diritto alla conoscenza di eventuali dati nuovi ed ulteriori rispetto a quelli già entrati nel patrimonio di conoscenza del soggetto interessato al trattamento dei propri dati. Scopo della norma è infatti quello garantire, a tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, la verifica ratione temporis dell'avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della rimozione di dati, indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati per altra via a conoscenza dell'interessato.
Il caso analizzato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. I, Ord. n. 32533 del 2018) atteneva il ricorso di un dipendente in servizio presso la Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. avverso il diniego alla richiesta di ottenere la comunicazione, in forma intelligibile, dei dati personali che lo riguardavano, contenuti nella segnalazione inviata all'ufficio di disciplina, nonché nella lettera accompagnatoria in cui erano state formulate le valutazioni ed espresse le motivazioni circa il provvedimento da adottare.