Incompatibilità: i confini tra consulenze e libera professione

Incompatibilità: i confini tra consulenze e libera professione

di Federica Brio -
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Commento a Corte dei conti Lombardia, 3/02/2020, n. 11

Il giudice contabile propone un criterio ermeneutico complesso (pag. 18 e ss. della sentenza) per l'accertamento in concreto dell'esercizio di attività professionale  (incompatibile con il tempo pieno), che si fonda sul distinguo logico-concettuale tra attività consulenziali consentite e attività libero-professionali vietate, che va individuato facendo riferimento a:

  • un dato fattuale basilare: la frequenza temporale dell’attività consulenziale svolta con continuità, assiduità e sistematicità nell’anno solare e/o in più anni, tale da diventare abituale e dunque “professionale”, ovvero un ulteriore “lavoro stabile”, talvolta addirittura primario, ancorchè autonomo);
  • due indici sintomatici, di per sé non probanti in modo assoluto: l’entità degli introiti, superiori alla retribuzione annua da professore (elemento indicativo, anche se atomisticamente non fondante in via esclusiva, potendosi svolgere anche una sola consulenza spot annua, ma di importo rilevantissimo, correlato alla rilevante qualificazione del professore e alla complessità del parere o della consulenza) e l’apertura di partita IVA (elemento meramente indicativo, anche se in sé non fondante in via esclusiva, potendosi aprire partita IVA per attività occasionali, quali poche consulenze o poche docenze. La Corte dei conti ha più volte ribadito che professionalità dell’attività non è desumibile dalla mera tenuta di una partita IVA, ma dal
    suo consapevole e abituale utilizzo per lo svolgimento di una attività libero professionale, cioè non meramente occasionale).

Qualora concorrano il criterio base e uno dei due indici sintomatici, l’attività, pur formalmente qualificata come consulenziale, configura una attività libro-professionale vietata e non autorizzabile.

 

in una accurata ricostruzione dell'istituto dell'incompatibilità dei docenti universitari, la Corte dei Conti riepiloga anche i principali punti fermi in materia di:

a) Incompatibilità

- l’espletamento di convegni, seminari, lezioni, docenze, eventi formativi, è testualmente liberalizzato sia dal regime generale valevole per tutti i pubblici dipendenti (v. art. 53, co. 6, lett. c ed f bis, d.lgs. n. 165 del 2001), sia da quello specifico previsto per i docenti universitari anche a tempo pieno (art. 6, co. 10, l. n. 240 del 2010), che fa altresì riferimento alla “occasionalità” di tali interventi (ove sistematici, occorerebbe autorizzazione per i professori, non prevista invece per i restanti dipendenti pubblici a fronte di una normativa che non fissa limiti quantitativi alla docenza).

-  L'attività libero- professionale è vietata in modo assoluto ai professori universitari a tempo pieno. Un tale divieto opera ope legis e quindi non può venir meno per una eventuale autorizzazione rettorale, in quanto un atto amministrativo non può notoriamente derogare alla legge, consentendo ciò che la legge vieta.

- L'attività di “collaborazione scientifica e consulenza” è liberalizzata e non richiede autorizzazioni in base all’art. 6, co. 10, l. n. 240 del 2010.

b) Procedimento contabile:

-  è pacifica la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti sul mancato versamento delle somme dovute dal pubblico dipendente alla propria amministrazione ai sensi dell’art. 53, co.7, d.lgs. n. 165/2001 (anche per gli introiti anteriori alla introduzione del comma 7-bis nell’art. 53 cit. ad opera della legge n. 190 del 2012).

- A fronte dell’espletamento da parte di professori universitari a tempo pieno di attività libero-professionali vietate dalla legge Gelmini, oltre al danno erariale previsto dall’art.53, co.7, d.lgs. n.165 del 2001, si configura un ulteriore danno per le maggiorazioni stipendiali percepite quale professore a tempo pieno rispetto a quelle spettanti al professore a tempo definito.

- In caso di espletamento di attività extra-lavorative remunerate e non autorizzate dal datore da parte di un pubblico dipendente, l’obbligo di riversare alla propria amministrazione gli importi percepiti in base all’art.53, co.7 e 7bis, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, impone un calcolo al netto e non al lordo delle somme da versare, essendoci già stato un prelievo fiscale a favore della P.A. al momento della erogazione e della dichiarazione dei redditi

(Modificato da Giorgio Valandro - intervento originale effettuato il mercoledì, 11 marzo 2020, 15:27)